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Elogio del Gobbo

Rispondere al neomaccartismo degli azioneros con la riscossa del Pragmatismo Andreottiano

La vignetta di Vauro dove si oppone, metaforicamente, ad entrambi i principali attori della Guerra in Ucraina.

Io ho un terribile problema. Sono parte di una famiglia storicamente e culturalmente di Sinistra. Per me, quindi, Vauro è un caro compagno di lotte passate. Anche se io, in quelle lotte passate, non c’ero. Vauro era quello che in maniera più forte riusciva ad apostrofare il marasma berlusconiano, questo so. Quando venni a sapere che aveva scritto una vignetta pro-Putin, potete immaginare, io rimasi onestamente perplesso.

Vauro. Quello che sta dalla parte dei Palestinesi, dalla parte dei migranti, quello. Quello che durante l’epoca del Lettone di Putin era dall’altra parte, contro B. e quindi contro Putin. Quel Vauro là. Non ci credevo. Ho visto la vignetta, posso confermarlo, non ci credo, neanche ora. Per quanto mi riguarda, Vauro ha scritto una vignetta contro la guerra.

Questa vignetta, come molti sapranno, però, è roba vecchia. La roba nuova è che ora la Meloni è a Kyjv, da Zelenskji, e sono tutti amiconi. La guerra sta andando benissimo. Nonostante questo, però, l’offensiva putinana in questo paese si fa sentire, visto che da tempo a questa parte è evidente a una parte minoritaria di questo paese come Putin stia influenzando la nostra politica estera convincendo prominenti politici di centro-sinistra a dire di essere a favore della pace, contrariamente all’incorruttibile Calenda che chiede a gran voce di continuare la guerra fino a quando la bandiera ucraina non possa svettare su Mosca.

Prima di addentrarmi nella dissezione di questo scempio di cui ci troviamo testimoni, mi sia concesso di fare una premessa, che ormai è una cosa incredibilmente necessaria: io, sin dal 24 febbraio dell’anno scorso, da cui di qui a poco ricorrerà un anno preciso, sono sempre stato a favore dell’Ucraina. Proprio per quello che ho detto prima, io sono dell’idea che l’Italia, in quanto paese democratico, abbia la responsabilità morale di aiutare i popoli oppressi di questa terra. Don Lorenzo Milani suggeriva di dividere i popoli della terra in oppressi e oppressori. Gli ucraini sono oppressi, noi dobbiamo aiutarli. Aggiungo, soprattutto, che anche durante la stagione del Governo del Cambiamento mi sembrava, il solo pensiero di Putin e Xi alleati, mi fa ribrezzo. Penso tutt’ora che le oligarchie capitaliste dell’oriente sono l’ultimo grande nemico da abbattere affinchè trionfi su questa terra almeno la democrazia, visto che ormai l’uguaglianza e la libertà sono state dimenticate da anni. Mi sembra terribile doverlo ribadire, ma a quanto pare ogni pensiero che non contenga questa premessa è automaticamente tacciato di filoputinismo.

Ora, premesso questo, possiamo iniziare: chiunque, in questo paese, sostenga che razionalmente non ci può essere, da parte della NATO, dell’Europa, ma anche dell’Ucraina, uno sforzo così mastodontico da poter sostenere la guerra ad oltranza, finchè non sia vinta, viene automaticamente tacciato di disfattismo.

Almeno, questo succede nell’opinione pubblica.

Mentre pensavo e rimuginavo questo pensiero, mi venne subito in mente uno degli epitaffi dell’Antologia di Spoon River — ho deciso che voglio parlare unicamente di letteratura, e non di STEM, non perchè non mi piacciano o perchè non le capisca, ma perchè so quanto il peone di Calenda mal sopporti le arti, per sua comprovata incapacità di comprenderle — di Masters, quello di Dorcas Gustine:

Per queste persone, che evidentemente si avvalgono della facoltà di non riflettere su ciò che vedono, tutto ciò che vedono è vero, e tutto ciò che è vero si vede. Di conseguenza, non serve essere a favore di ciò che si fa, basta sembrarlo. E, al contrario, non serve essere a favore di ciò che si fa, serve dimostrarlo. Che ci si riesca o meno, è questione di poco conto. L’Importante, è sembrarlo. Quindi, in questo caso, non è importante sapere come si ottiene la vittoria dell’Ucraina sulle forze di Putin (non mi sento nemmeno di chiamarle Russe, sapendo che i Russi come popolo non hanno colpe), ma dimostrare pubblicamente di esserne a favore.

Io non penso di dover spiegare come mai questo clima da caccia alle streghe. Le reminiscenze del maccartismo si sprecano, e dobbiamo anzi ringraziare che, a differenza del furore anticomunista degli anni 50, questi “estremisti” non hanno nè la mole di supporto, nè la conoscenza tecnica dei mezzi per farlo nè — e su questo voglio essere chiarissimo — la volontà di nuocere. Joe McCarthy era mosso da una smodata ambizione di potere e da una malvagità ai limiti del paranormale, e, con le dovute divergenze, dubito che Calenda abbia anche solo una di queste cose.
Ciò su cui invito a riflettere è una cosa ben differente, e cioè il fatto che ormai il nostro dibattito pubblico è stato drogato anche in uno di quei pochi punti difficilmente radicalizzabili: la Politica Estera.

Facciamo l’ennesimo passo indietro.

Nel 1990, l’Italia era il paese dell’emisfero occidentale con il Ministro degli Esteri più pragmatico. Giulio Andreotti, Belzebù, la Prima Lettera dell’Alfabeto, il Divo Giulio, era tutt’altro che incapace. Anzi, seppur ingoiando una buona parte di orgoglio, oggigiorno è difficile ammettere che la sua politica estera si discostasse più di tanto dalla visione che oggi dovrebbe avere un paese moderno, specialmente nel mondo multipolare in cui viviamo. Dall’alto della sua conoscenza acquisita della diplomazia, Andreotti seppe far passare l’Italia dal ruolo di “Bulgaria della NATO” a quello di Torre, o addirittura Alfiere del campo atlantico dello scacchiere. Esempio lampante è quello della Notte di Sigonella: mantenemmo, per poco tempo, il primato di esser stati l’unico paese sulla Terra a fare scacco matto agli americani, e a passarla liscia. L’orgoglio di abbassare la cresta al reaganismo, come ho detto, durò poco: con la Seconda Repubblica, il pragmatismo ideologico democristiano, frutto anche di una concertazione con i partiti più a sinistra dell’Arco Costituzionale, fece spazio a visioni di Politica Estera meno e meno studiate, e sempre più legate al mantenimento dei vincoli basilari che i grandi politici della Prima Repubblica costruirono, tant’è che tutt’ora potremmo dire che l’Italia, nel campo diplomatico, si regge sulle spalle dei giganti, per dirla alla Newton.

La tradizione di pragmatismo che i nostri politici hanno brillantemente dimostrato, tuttavia, non viene bene accettata dai paladini della Competenza. Probabilmente, oggi, se Andreotti provasse a fare una delle sue classiche mosse del Cavallo, lo taccerebbero di filoputinismo. Oggi, chiedere di essere cauti, o lungimiranti, nella programmazione, significa essere tacciati di filoputinismo, e soprattutto significa essere tacciati di filoputinismo dai paladini della competenza. Ciò, oltre ad essere contraddittorio ai limiti del ridicolo, è ovviamente dannosissimo per il nostro paese. Un paese grande, a livello diplomatico, come l’Italia, non può agire in maniera ideologizzata su questioni del genere, pena il rischio di perdere la rilevanza che da vent’anni a questa parte abbiamo già cercato in ogni modo di vendere.

Al netto di ciò che ho elencato ritengo che sia giusto, anzi, necessario, che qualcuno, specialmente qualcuno con il dovere morale di difendere questo paese, come un politico, esca pubblicamente e, di fronte a tutti, dica ciò che ormai non è più possibile dire, e cioè che:

Spero, visto che ormai solo questo ci è dato, che esista qualcuno che possa dire queste cose senza venir tacciato di filoputinismo. Inviterei questa persona, semmai esistesse, a farsi avanti il prima possibile. Ne abbiamo bisogno.

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